G-test

Apr 27
Scritto da Annamaria avatar

pregnant woman on the beach

Il G-test permette a chi è incinta di sapere in modo non invasivo se ci sono anomalie cromosomiche nel nascituro ed è l’esame più utilizzato al mondo. In tutto il pianeta un milione di gestanti hanno eseguito il G-test per indagare. Il traguardo è stato raggiunto grazie alla collaborazione del colosso della genomica BGI, la Bioscience Genomics, spin off dell’Università romana di Tor Vergata, e l’americana Complete Genomics.
Il G-test colleziona un ulteriore primato che si va ad aggiungere a quello della validazione scientifica che, essendo effettuata su 600 mila casi, posizione il test come il più attendibile e sicuro al mondo. Non a caso questo test è disponibile attualmente in oltre 62 Paesi.

“Il G-test presenta caratteristiche uniche rispetto agli altri prodotti disponibili sul mercato, prima tra tutte la filiera corta e Made in Italy. Bioscience Genomics, infatti, svolge tutte le procedure, che vanno dall’estrazione del DNA circolante al sequenziamento, all’interno del nostro Paese. In questo modo il campione di sangue materno non compie lunghi viaggi intercontinentali che potrebbero deteriorarlo a causa della lunga durata e danneggiarlo a causa dei controlli di dogana cui è sottoposto mediante il metal detector. Nel caso del G-test, invece, la catena di custodia il campione di sangue materno si ferma a Roma, presso i laboratori siti all’interno del Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma Tor Vergata, dove viene analizzato dai biologi di Bioscience Genomics e refertato dai genetisti dell’Università, il tutto in lingua italiana. Questa tecnologia assicura ad un numero sempre maggiore di donne la possibilità di evitare indagini invasive che possono mettere a rischio la loro gravidanza”, spiega il Prof. Giuseppe Novelli, Genetista e Rettore dell’Ateneo.

Il G-test è parte di un vero e proprio percorso clinico di consulenza che parte dal colloquio con il ginecologo, passa attraverso la firma di un consenso informato e non si conclude con la refertazione del campione. Al contrario, in caso di risultato positivo la coppia viene avviata ad un percorso di counseling con specialisti del proprio territorio individuati tra i migliori esperti nazionali. Per celebrare questo traguardo Bioscience Genomics ha messo a disposizione delle gestanti un semplice test per aiutarle nella decisione di eseguire questo test di screening, uno strumento i cui risultati possono essere fonte di dialogo con il ginecologo di fiducia. Il test prevede domande sulla storia familiare, precedenti gravidanze e figli affetti da anomalie cromosomiche, controindicazioni alla diagnostica invasiva come ad esempio placenta previa e altre condizioni che rendono consigliabile lo screening.
“La diffusione e il successo del G-test sono stati possibili grazie all’intuito di uno scienziato straordinario”, sottolinea il dottor Giuseppe Mucci, AD di Bioscience Genomics. “Tutto è nato dagli studi del Prof. Dennis Lo che nel 1997 ha scoperto come nel sangue della madre circolassero frammenti di DNA libero del feto a partire dalla 10ma settimana di gestazione e che potevano quindi essere isolati e analizzati – continua il medico – Il successo del G-test è quello di essere il fulcro di un puzzle che prevede la presa in carico della gestante in tutto il percorso di screening. E’ necessario infatti spiegare che la presenza di anomalie cromosomiche è legata a fattori in parte prevedibili come l’età materna, una storia di abortività e la presenza di anomalie cromosomiche già note in uno dei due genitori o in uno dei figli ma che altri fattori sono assolutamente imprevedibili e che l’alterazione dei cromosomi può avvenire spontaneamente e casualmente durante la fecondazione”.

La Società Internazionale di Diagnosi Prenatale (ISPD) riconosce i NIPT come test di screening utili per tutte le donne a rischio e la Società Internazionale di Consulenza Genetica supporta il G-test come opzione diagnostica valida, fatto salvo che un eventuale risultato positivo debba essere confermato da un test come l’amniocentesi.
“Molti test di screening tradizionali presentano alti tassi di ‘falsi positivi’, ciò significa che donne che portano in grembo un feto sano vengono invece sottoposte a procedure diagnostiche invasive e non necessarie che prevedono un certo rischio abortivo oltre ad un alto livello di preoccupazione e ansia che potrebbero essere evitati con tecniche di indagini più affidabili. Mentre le indagini invasive come amniocentesi e villocentesi a fronte di un’alta specificità dei risultati pagano il prezzo di un rischio abortivo che si aggira intorno all’1-2%”, conclude Novelli.
Il G-test è rivolto alle future mamme che: non vogliono sottoporsi a metodiche di analisi prenatale invasive ; non possono sottoporsi a metodiche di analisi prenatale invasive; non ritengono sufficiente l’affidabilità di altri test non invasivi; hanno una gravidanza a rischio; hanno una gravidanza singola o gemellare da fecondazione assistita (sia omologa che eterologa); hanno avuto un esito di alto rischio da test non invasivi su base statistica.

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