Paghetta bambini

Apr 28
Scritto da Annamaria avatar

La paghetta ai bambini è sempre un tema caldo: quando darla? Perché? Bisogna parlare di soldi ai bambini? A tutte queste domande risponde Silvia Demozzi, professoressa associata di Pedagogia all’Università di Bologna.

Far capire ai bambini il valore dei soldi, anche in merito alla paghetta, è fondamentale. “A volte su questo tema c’è vergogna come se i soldi fossero qualcosa di sporco, ma si tratta di spiegare una dinamica che riguarda la quotidianità, con cui i bambini entrano in contatto molto presto, anche solo quando vanno con i genitori alla cassa di un negozio: non parlarne non aiuta”, chiarisce l’esperta al Corriere della Sera.

La paghetta potrebbe arrivare già quando i bambini sono alle elementari. “Già dai 4 anni i bambini possono capire che per avere un bene materiale c’è bisogno di dare in cambio soldi. Si può cominciare a spiegare da dove vengono. I bambini sanno che i genitori lavorano e per questo, per esempio, non possono stare sempre con loro, allora si può dire ‘lavorando posso fare la spesa o comprarti un gioco o mandarti alla scuola calcio’. E’ anche un modo per insegnare la differenza tra i bisogni e altre cose non necessarie ma che possono aumentare il nostro benessere”.

“Facendo un giro in un negozio, si può far notare la differenza di prezzo rispetto alla qualità e si può ragionare sul fatto che non a tutti è concesso lo stesso accesso alla qualità, introducendo il tema delle diseguaglianze”, continua la pedagogista. “Quando i bambini cominciano ad acquisire competenze di calcolo, può avere senso avere una propria entrata da amministrare”.

La paghetta ha un obiettivo educativo: “Dobbiamo far passare il concetto che i soldi sono uno strumento di scambio, non un fine , quindi non accumulare per il gusto di accumulare, non dare giudizi di valore sui soldi, non legare il valore delle persone ai soldi”. I bimbi devono solo imparare a gestire il denaro.

Nessuna promessa di soldi dopo un bel voto ad esempio: “Legare una ricompensa al merito è profondamente sbagliato, anche perché non tutti abbiamo la possibilità di raggiungere il massimo dei voti. Potrei capire un premio all’impegno, ma la ricompensa per un voto potrebbe anche far scattare meccanismi malati che portano a vivere male la scuola, a essere super competitivi. Meccanismi che sappiamo essere molto nocivi anche negli adolescenti, vediamo poi giovani adulti fragili che non danno esami all’università e non riescono a dirlo, con conseguenze anche tragiche».

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