Giovani e fumo: calano le sigarette tradizionali
La lotta al tabagismo entra in una nuova fase. Alla vigilia della COP11, la Conferenza delle Parti della Convenzione quadro dell’OMS per il controllo del tabacco, il dibattito internazionale si arricchisce di dati, esperienze e posizioni contrastanti. Sul tavolo, la grande sfida: integrare nella strategia antifumo anche strumenti di riduzione del rischio. A preoccupare è il binomio giovani e fumo. Dalle ricerche calano le sigarette tradizionali, ma aumentano le ‘alternative’.

Gli studi parlano chiaro: nei Paesi che hanno aperto con responsabilità alle alternative alle sigarette tradizionali – come Giappone, Nuova Zelanda, Regno Unito e Svezia – il calo dei consumi è stato significativo, soprattutto tra i più giovani. Laddove invece le restrizioni sono rimaste rigide, i progressi sono più lenti.
In Europa il quadro è frammentato: Francia e Spagna adottano una linea dura anche verso i prodotti senza combustione, mentre Italia, Grecia e Romania sostengono la necessità di regolamentazioni differenziate che valorizzino il potenziale di riduzione del rischio. Non è un caso che il Parlamento europeo abbia già riconosciuto più volte l’importanza delle alternative meno dannose, mentre la Commissione continua a mantenere una posizione più rigida, distante dalle best practice internazionali.
Il dibattito resta aperto. La COP11 potrebbe essere l’occasione per superare approcci ideologici e abbracciare politiche basate sull’evidenza scientifica, con l’obiettivo di tutelare davvero la salute dei cittadini.
“Sui giovani si alimenta di un ‘bias di interpretazione’: che influisce negativamente sul dibattito scientifico e, soprattutto, crea confusione tra i fumatori”, spiega il dottor Fabio Beatrice, Direttore del Board Scientifico del MOHRE. E aggiunge: “Il fumo di sigaretta continua a essere diffuso tra gli adolescenti: quasi uno studente su tre ha fumato sigarette almeno una volta nella vita (il 32% in media). (…) Il fumo quotidiano è diminuito dal 20% all’8%. Questo ci dice che dove le alternative alle sigarette diventano più diffuse, il fumo combusto diminuisce. I Paesi con i dati più incoraggianti sulla lotta al fumo sono quelli che non hanno demonizzato i nuovi prodotti”.
A sostegno di questa linea si inserisce anche la voce del dottor Kostantinos Farsalinos dell’Università dell’Attica Occidentale, che sottolinea: “Il dibattito sugli aromi nei prodotti per la riduzione del danno da tabacco si basa esclusivamente su argomenti emotivi sui giovani, ignorando una consistente mole di prove sulla loro importanza per la cessazione del fumo e sull’impatto delle restrizioni. (…) Vietare gli aromi avrebbe conseguenze indesiderate, come un ritorno al fumo tradizionale”.
Anche gli oncologi prendono posizione. Le Linee Guida del National Comprehensive Cancer Network americano, pubblicate nel maggio 2025, riconoscono che sebbene l’obiettivo resti la cessazione totale, le sigarette elettroniche e altri prodotti senza combustione possono svolgere un ruolo concreto nella riduzione dei danni. Tanto che l’FDA ha classificato alcuni di questi dispositivi come Modified Risk Tobacco Products, certificandone una minore tossicità.
Per Johann Rossi Mason, Direttrice del MOHRE, la parola chiave resta una sola: scienza. “È necessario che le politiche siano guidate da dati scientifici e non da credenze morali o ideologiche che mal si conciliano con la necessità di proteggere la salute pubblica, non solo dei non fumatori ma anche delle persone coinvolte in una dipendenza vera e propria”.
La COP11, dunque, non sarà solo un appuntamento istituzionale, ma un banco di prova cruciale per capire se la lotta al fumo sarà capace di evolvere dal divieto assoluto a un approccio più realistico e scientifico.
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