Maschere fai da te per dire addio ai brufoli
Brufoli, punti neri e pelle lucida? Non serve riempirsi di prodotti costosi o usare mille filtri: con pochi ingredienti naturali e un po’ di costanza puoi prenderti cura della tua pelle anche a casa, in modo semplice e divertente! Ecco alcune maschere fai da te perfette per dire addio ai brufoli. Prima però ricorda che devi farle 1-2 volte la settimana, è necessario lavare sempre il viso prima di applicarle. E se il problema si fa serio, occorre rivolgersi a un dermatologo.

Maschera al miele e limone
Il miele è antibatterico e idratante, mentre il limone aiuta a purificare.
Come si fa: mescola 1 cucchiaio di miele con qualche goccia di succo di limone. Applica sul viso per 10 minuti, poi risciacqua con acqua tiepida. Non esporsi subito al sole dopo averla fatta, perché il limone può rendere la pelle più sensibile.
Maschera all’argilla verde
Perfetta per le pelli grasse o con impurità.
Come si fa: mescola 2 cucchiaini di argilla verde (la trovi in erboristeria) con un po’ d’acqua o infuso di camomilla fino a ottenere una crema. Lasciala agire 10-15 minuti e risciacqua bene.
Risultato? Pelle pulita e opacizzata!
Maschera all’avocado e yogurt
Se la tua pelle è irritata o stressata, questa è l’ideale.
Come si fa: schiaccia mezzo avocado e aggiungi un cucchiaino di yogurt bianco naturale. Lascia in posa per 15 minuti e risciacqua.
È super nutriente e lenitiva!
Maschera alla curcuma e miele
Un rimedio top contro i rossori.
Come si fa: mescola un cucchiaino di miele con mezzo cucchiaino di curcuma. Applica per 10 minuti e risciacqua con cura (attenzione: può macchiare un po’!).
Dermorexia
Specchi, selfie, routine infinite di creme e trattamenti: prendersi cura della pelle è oggi parte della quotidianità di molte persone. Ma quando l’attenzione alla skincare si trasforma in una vera e propria fissazione, può diventare un problema. È il caso della dermorexia, un disturbo ancora poco conosciuto ma sempre più diffuso, legato al culto della pelle “perfetta”.
La dermorexia rientra nei disturbi dell’immagine corporea e si manifesta con un’ossessione compulsiva per la cura della pelle. Chi ne soffre trascorre molto tempo a controllare ogni minimo difetto, cambiando di continuo prodotti cosmetici, sottoponendosi a trattamenti estetici frequenti e, nei casi più gravi, sviluppando ansia e insoddisfazione cronica.
Un fenomeno che oggi spopola soprattutto tra le ragazzine e le adolescenti, immerse in un mondo dominato da selfie e filtri, dove la pelle deve apparire sempre liscia, uniforme e senza imperfezioni. Quali sono i campanelli d’allarme?
- Passare ore davanti allo specchio a controllare la pelle
- Usare in modo compulsivo creme, scrub e trattamenti
- Cambiare continuamente prodotti alla ricerca di quello “miracoloso”
- Evitare situazioni sociali per paura di mostrare imperfezioni
- Sentirsi ansiosi o depressi se la pelle non appare perfetta
Tra le cause e i fattori scatenanti alla base c’è quasi sempre un mix di insicurezza personale, influenza dei modelli estetici diffusi dai social e una forte ansia legata all’aspetto fisico. L’idea di non avere una pelle “da copertina” genera frustrazione e la convinzione di doverla correggere a ogni costo. Per le adolescenti, che vivono un’età fragile e in trasformazione, la pressione sociale è ancora più forte: bastano un brufolo o un rossore per sentirsi “sbagliate”.
Paradossalmente, questa patologia porta spesso al risultato opposto: prodotti aggressivi e trattamenti eccessivi possono danneggiare la barriera cutanea, provocando irritazioni, arrossamenti e imperfezioni ancora più difficili da gestire. A livello emotivo, il rischio è quello di sviluppare isolamento sociale e calo dell’autostima.
Come affrontarla? Il primo passo è riconoscere che si tratta di un disturbo psicologico e non solo estetico.
- Chiedere supporto a uno psicologo esperto in disturbi dell’immagine corporea può essere determinante.
- Stabilire una skincare essenziale, con pochi prodotti adatti al proprio tipo di pelle, seguendo i consigli di un dermatologo.
- Limitare il tempo online, soprattutto sui social dove filtri e immagini perfette amplificano l’insicurezza.
- Riscoprire il benessere oltre la pelle, coltivando passioni, relazioni e attività che valorizzino la persona nel suo insieme.
Primo giorno di scuola: consigli
Il ritorno a scuola porta con sé emozioni contrastanti: la sveglia all’alba, la fine delle vacanze, la routine che ricomincia. Per molti bambini è uno stress vero, non solo per i programmi da recuperare ma per il cambiamento emotivo che comporta. Corriere della Sera, nella sezione Genitori & Figli, offre consigli preziosi per mamme e papà che vogliono rendere questo momento il più sereno possibile, senza ansie inutili. Il primo giorno di scuola non deve essere fonte di stress: ecco alcuni consigli.

“Stabilire orari regolari per i pasti, per lo svolgimento dei compiti, per le attività extrascolastiche e il momento del sonno aiuta a ricreare un equilibrio – spiega Deny Menghini –. Anche la creazione di un calendario condiviso, che preveda impegni e spazi liberi, permette ai bambini e ai ragazzi di comprendere che la giornata non è fatta solo di doveri, ma anche di pause e momenti ricreativi. È fondamentale non occupare ogni momento della giornata. Il tempo libero, compreso quello per annoiarsi, ha un valore formativo: stimola la creatività, favorisce il recupero delle energie e contribuisce a un equilibrio sano tra impegni e svago”.
Il responsabile UOS di Psicologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù aggiunge: “Dopo un’estate ricca di contatti e libertà, è utile favorire occasioni di incontro con i pari, specie in caso di cambi di ciclo scolastico. In questi casi è bene promuovere l’inserimento attraverso momenti di relazione. Il genitore può fungere da facilitatore, coinvolgendo le altre mamme in caso di figli piccoli o suggerendo ai più grandi di studiare insieme ai compagni”.
“Il timore del giudizio, la preoccupazione per il confronto con i coetanei o la paura di non ritrovare legami lasciati in sospeso durante l’estate sono fattori che alimentano l’ansia sociale – chiarisce l’esperta -. Anche per questo è importante non limitarsi a chiedere del rendimento scolastico, ma aprire spazi di dialogo sull’aspetto relazionale ed emotivo del ragazzo. Non basta domandare ‘com’è andata a scuola?’, quanto piuttosto ‘come ti senti?’, ‘ti è piaciuto oggi?’”.
Meneghini precisa: “L’ansia, in realtà, è una componente comune sia nei bambini che negli adulti. Può avere un ruolo positivo, perché attiva e favorisce l’efficienza, ma diventa problematica quando si traduce in disturbi del sonno, alterazioni dell’alimentazione o paure tali da compromettere il benessere quotidiano. In questi casi, se i segnali persistono per settimane, possono nascondere un problema. Bisogna sempre accogliere le emozioni dei figli senza sminuirle”.
E conclude: “Se nei primi anni di scuola primaria il bambino ha bisogno di essere guidato, crescendo deve imparare a gestire i propri compiti e la propria organizzazione. È importante dividere gli ambiti: il centro formatore è la scuola. Attività come preparare lo zaino, leggere il diario, ordinare il materiale o affrontare per primi i compiti più impegnativi sviluppano senso di responsabilità e sicurezza. In questo modo si consolida l’idea di potercela fare da soli. Anche la cura dello spazio fisico dedicato alla scuola, come una scrivania ordinata, materiali etichettati e facilmente reperibili, contribuisce a rafforzare la percezione di controllo e quindi a ridurre l’ansia”.
Fumo e svapo, come smettere da adolescenti
Sempre più adolescenti iniziano a fumare, spesso attratti non tanto dalle sigarette tradizionali quanto dallo svapo, considerato da molti una scelta “più leggera”. Ma la realtà è ben diversa. Smettere di fumare, a qualsiasi età, è difficile. E per i più giovani, che secondo le stime iniziano già a 13 anni, può diventarlo ancora di più, tra abitudini sociali, dipendenza fisica e l’illusione che basti solo un po’ di forza di volontà per farcela. Fumo e svapo: come smettere da adolescenti? I consigli dell’esperta.

Elena Munarini, psicologa e psicoterapeuta presso il Centro Antifumo della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, in un’intervista al Corriere della Sera spiega quanto sia complesso il percorso per dire davvero basta. “Molti ragazzi credono che smettere sia facile, ma l’Organizzazione mondiale della sanità ha definito il tabagismo una ‘patologia recidivante’, cioè una malattia che si ripresenta. Stando alle statistiche almeno un terzo degli attuali fumatori italiani ha tentato sul serio di dire addio alle sigarette. In media si riesce al quarto tentativo e solo i più determinati e autodisciplinati (circa 6 persone su 100) ce la fanno da soli, armati di due requisiti indispensabili: una ferrea forza di volontà e un’importante motivazione”.
Smettere di fumare in adolescenza non è solo una decisione personale, ma coinvolge anche chi sta intorno. Famiglia, amici e insegnanti possono fare molto per supportare chi vuole uscire dalla dipendenza. “Le punizioni e i divieti, sempre accompagnati da un dialogo che li motivi, possono servire quando il figlio è molto giovane e si ha ragione di credere che il suo fumare sia ancora abbastanza sporadico – risponde Munarini –. E’ fondamentale spiegare ai ragazzi che si tratta di una dipendenza e spiegare loro la nocività del fumo passivo, vietando il fumo in tutta la casa. E ovviamente dando il buon esempio: se il genitore fuma deve provare a smettere oltre che chiederlo al figlio.”
Anche altri elementi possono aiutare a motivare un ragazzo a smettere: “Altre motivazioni possono arrivare dall’attività sportiva e sessuale (il fumo diminuisce le prestazioni su entrambi i fronti) ed estetiche: pelle, capelli, denti risentono da subito degli effetti nocivi, che regrediscono rapidamente se si smette”.
E poi c’è un aspetto molto concreto, quello economico: “Il denaro, non a caso, molti giovani e giovanissimi preferiscono comprare il tabacco trinciato e rollare da sé le sigarette: è bene far capire ai ragazzi quali e quante altre cose potrebbero fare con i soldi che utilizzano per fumare”.
Lo svapo, spesso sottovalutato, può essere una vera trappola. “Primo, farlo insieme agli amici può essere una buona strategia – dice Munarini –. Difficilmente tutto il gruppo aderirà all’iniziativa di smettere, ma, con un piccolo stimolo qualcuno facilmente lo farà e potrebbe essere un fenomeno contagioso”.
La psicologa consiglia di valutare il modo più adatto per iniziare: “Secondo, nell’approcciarsi alla cessazione si può fare un breve periodo di riduzione (non più di un paio di settimane) per sentire meno il distacco, ma è anche possibile interrompere bruscamente, facendo molta attenzione i primi giorni a tenersi occupati con attività che non creino occasioni di tentazione, per cui no allo stress e sì allo sport e magari qualche nuovo hobby”.
Se si ha paura di non farcela da soli, esistono strutture pensate proprio per questo: “Terzo, se c’è il timore di patire la sindrome di astinenza, si può cercare aiuto nei Centri Antifumo, distribuiti sul territorio nazionale. Utilizzare le terapie validate per il tabagismo è la strada migliore: proprio negli ultimi mesi sono stati pubblicati diversi studi sul fatto che queste terapie farmacologiche hanno una buona efficacia anche nel caso delle sigarette elettroniche”.
Attenzione, però, a non confondere le cure vere con altri prodotti apparentemente innocui: “Quarto, attenzione invece alla confusione tra terapie validate per smettere e altri prodotti del tabacco (come sacchetti di nicotina): le prime, specie abbinate a un supporto psicologico promuovono l’uscita dalla dipendenza, mentre i secondi spostano solo il problema”.
Fumare, svapare, dipendere dalla nicotina non è un gioco. Uscirne richiede motivazione, pazienza e spesso anche supporto. Ma è possibile, e iniziare da giovani è il modo migliore per liberarsi una volta per tutte. Per sé stessi, per la propria salute e per vivere davvero liberi.
Acne shaming
L’acne non è solo un problema di brufoli e imperfezioni da mascherare con un po’ di trucco. È una vera e propria patologia infiammatoria cronica che, oltre a causare dolore fisico, può scavare ferite profonde nell’autostima. Secondo l’American Academy of Dermatology, riguarda l’85% dei giovani tra i 12 e i 24 anni e ogni anno colpisce oltre 50 milioni di persone negli Stati Uniti. Ma sfatiamo un mito: non è una condizione solo adolescenziale. Un terzo degli adulti ne soffre, e nelle donne adulte è addirittura più diffusa.
Ecco allora che da una semplice lesione cutanea si può passare a un disagio psicologico importante. Lo confermano non solo le testimonianze, ma anche le ricerche più recenti, che parlano di un fenomeno sempre più diffuso: l’acne shaming, ovvero l’umiliazione, spesso pubblica o social, di chi soffre di acne. Un fenomeno tossico che può portare anche a gravi conseguenze emotive.
Uno studio pubblicato sul British Journal of Dermatology racconta cifre che fanno riflettere: il 60% delle persone con acne dichiara di aver perso fiducia in sé, il 57,1% ha subito abusi verbali e il 44,2% è stato vittima di bullismo. Soltanto il 6,9% afferma di non aver avuto alcun impatto negativo sulla propria vita quotidiana. Numeri che si accompagnano a una meta-analisi della Journal of the American Academy of Dermatology, secondo cui esiste una correlazione tra acne, ansia e depressione. L’Indian Journal of Dermatology parla di un’incidenza dell’ansia pari al 68,3% nei pazienti affetti.
A spiegare il perché di un impatto tanto forte è la psicologa Francesca Rinaldi a Leggo: “Durante l’adolescenza e in tutte le fasi più fragili della vita, l’acne può diventare un vero e proprio fattore di vulnerabilità psicologica. Non si tratta soltanto di un disagio estetico, ma di un’esperienza che può minare la percezione di sé, influenzare le relazioni sociali e compromettere la qualità della vita.
Anche i casi meno gravi, se vissuti con sofferenza e protratti nel tempo, possono portare a ritiro sociale, ansia e sintomi depressivi”.
“Per questo – conclude Rinaldi – intervenire tempestivamente non significa solo migliorare l’aspetto esteriore, ma prendersi cura dell’intera persona, restituendole fiducia, serenità e benessere.”
Anche dal punto di vista medico la diagnosi precoce è cruciale. Ne è convinta la dermatologa Benedetta Salsi, che al quotidiano chiarisce: “Un trattamento precoce è la chiave per la risoluzione della patologia e soprattutto la prevenzione delle cicatrici. L’acne attiva e le cicatrici possono creare un grave danno psicologico agli adolescenti, influenzando in modo negativo la qualità della vita. Le terapie tradizionali, come creme, gel, antibiotici o isotretinoina, pur essendo consolidate, presentano spesso effetti collaterali o richiedono assunzioni prolungate, preoccupando pazienti e genitori.”
Ma oggi qualcosa sta cambiando anche sul fronte delle cure. È arrivato Accure, un nuovo sistema laser 100% italiano, sviluppato da Quanta System e nato da un’intuizione del professore Rox Anderson della Harvard Medical School. Il trattamento utilizza una lunghezza d’onda innovativa (1.726 nanometri) che colpisce le ghiandole sebacee e ne riduce la produzione di sebo, agendo quindi alla radice del problema.
“In genere i pazienti si sottopongono a quattro trattamenti, uno al mese, della durata media di circa 40 minuti – chiarisce ancora la Dott.ssa Benedetta Salsi – Dopo aver completato un ciclo di trattamento si osserva una riduzione del 79% delle lesioni infiammatorie, dato che sale quasi al 90% (88%) dopo due anni.” Insomma, una speranza concreta per chi soffre non solo di acne, ma anche dei giudizi altrui. Perché se una pelle perfetta non esiste, un po’ più di empatia sì. E va coltivata, proprio come la cura della pelle: ogni giorno.
Aiutare i figli nella scelta liceo
La scelta della scuola superiore è un momento delicato, carico di aspettative, dubbi e paure. Per un adolescente, decidere quale liceo frequentare significa compiere il primo vero passo verso l’autonomia e la costruzione della propria identità. Per un genitore, invece, è l’occasione per accompagnare con discrezione e intelligenza questo percorso. Ma come aiutare i figli nella scelta del liceo nel modo più utile, senza imporre e senza restare passivi?

1. Ascoltare i desideri, non proiettare i propri
Ogni ragazzo è un mondo a sé. Alcuni amano le materie umanistiche, altri hanno una naturale inclinazione per la matematica o per le scienze. E’ fondamentale non proiettare sui figli i propri sogni irrealizzati.
2. Valutare interessi e attitudini
Il liceo non è solo un percorso scolastico, ma anche formativo. Ogni liceo – classico, scientifico, linguistico, artistico, musicale, delle scienze umane – sviluppa una diversa forma mentis. Conoscere i punti di forza e le inclinazioni del proprio figlio è il primo passo per orientarlo. Per esempio, chi ama leggere, scrivere, riflettere sul senso della vita, potrebbe trovarsi bene al liceo classico. Chi ha una passione per i numeri, l’informatica o la logica potrebbe invece preferire lo scientifico.
3. Conoscere l’offerta formativa delle scuole
Ogni scuola ha un’identità specifica: alcuni licei puntano sull’innovazione, altri sulla tradizione, altri ancora su un forte legame con l’estero o con il territorio. Partecipare agli open day aiuta.
4. Considerare anche gli aspetti pratici
Il percorso di studi deve anche essere sostenibile nel tempo. Fattori come la distanza da casa,n il carico di studio e l’ambiente scolastico incidono.
5. Sostenere, ma lasciare decidere
Il ruolo dei genitori non è scegliere al posto dei figli, ma fornire strumenti, informazioni e sostegno emotivo. Anche se la scelta può sembrare “rischiosa” o non perfettamente in linea con le aspettative, è importante fidarsi e permettere al ragazzo di responsabilizzarsi.
E se vogliono cambiare scuola? Capita spesso che, dopo alcuni mesi o anni, i ragazzi si rendano conto che il liceo scelto non risponde alle loro aspettative, ai loro interessi o al loro modo di apprendere. Cambiare scuola non è un fallimento.
Il primo passo è ascoltare con attenzione: il desiderio di cambiare può nascere da una difficoltà momentanea, da un disagio relazionale o da una vera incompatibilità con il percorso scelto. Occorre distinguere tra crisi passeggera e insoddisfazione profonda. Esistono procedure ben precise per cambiare indirizzo di studi. E’ importante informarsi. Anche se il cambio può spaventare (per la discontinuità, il timore di “perdere tempo”), è importante non colpevolizzare.
La scuola superiore è un tempo di esplorazione: si cambia, si cresce, si scopre chi si è. Accompagnare i figli anche nei momenti di revisione della scelta iniziale significa aiutarli a cercare e a costruire il proprio cammino. Con coraggio, pazienza e fiducia.
Prevenzione osteoporosi
La prevenzione dell’osteoporosi deve partire sin da piccoli: alimentazione sana e corretta e attività fisica per ridurre i rischi di malattia sono basilari.

L’osteoporosi è una malattia dello scheletro che rende le ossa fragili e più esposte al rischio di fratture. Anche se colpisce soprattutto in età avanzata, la sua prevenzione comincia da piccoli, puntando su una buona alimentazione e uno stile di vita sano.
Infatti, il cosiddetto picco di massa ossea – cioè la quantità massima di tessuto osseo che una persona raggiunge – si costruisce soprattutto nell’infanzia e nell’adolescenza, e si completa intorno ai 30 anni. Un buon picco osseo, secondo gli esperti, può ritardare l’insorgenza dell’osteoporosi anche di 15 anni.
Dopo i 30 anni, la massa ossea si stabilizza per circa 15 anni. Ma, con l’arrivo della menopausa (e, in misura minore, dell’andropausa), inizia un declino fisiologico che può portare alla comparsa della malattia.
“Alle diverse fasi della vita – spiega il prof. Domenico Rendina, del Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli – corrispondono diverse esigenze nutrizionali”. Già da piccoli, sono fondamentali calcio, fosforo, magnesio, proteine (soprattutto da latte), rame, zinco e ferro per la formazione dell’osso”. Il prof. Rendina sottolinea anche l’importanza del giusto equilibrio: poco sale, molto potassio, frutta, verdura fresca e, soprattutto in età puberale, attenzione a non eccedere con bevande zuccherate.
Ma non basta mangiare bene: attività fisica regolare e esposizione al sole, in sicurezza, aiutano l’organismo ad assorbire meglio la vitamina D, fondamentale per il metabolismo osseo.
In età adulta, “una dieta equilibrata – continua il professore – deve includere proteine, frutta e verdura fresche, calcio (950-1100 mg al giorno) e, ove necessario, 2-3 porzioni di latticini”. E attenzione anche al sale, da mantenere sotto i 5 g al giorno come raccomandato dall’OMS.
Se con la dieta e il sole non si riesce a raggiungere livelli adeguati di vitamina D, si può ricorrere a integratori, come colecalciferolo, ergocalciferolo o calcifediolo, con dosaggi personalizzati.
Infine, uno studio presentato al 45° Congresso Nazionale della SINU, Società Italiana di Nutrizione Umana, ha confermato che le persone con osteoporosi e fratture hanno una minore aderenza alla dieta mediterranea, consumano troppo sale e troppo poco calcio. Seguire questo modello alimentare resta dunque una delle strategie più efficaci per proteggere le ossa, in ogni età della vita.
DCA: frasi da non dire a tavola
Ci sono frasi da non dire a tavola o durante il picnic in questo giorno di festa. Sono parole da cancellare sempre se si ha accanto una persona affetta dal disturbo del comportamento alimentare (DCA). Lilac Centro DCA, la prima digital health tech startup in Italia che insegna un nuovo approccio ai disturbi alimentari, ha elaborato un vademecum. E una guida pensata proprio per evitare di ferire involontariamente qualcuno.

Le frasi da non dire a tavola sono semplici. E’ basilare cercare di non urtare la suscettibilità di chi soffre di DCA. Quelle per non far sentire alcuno giudicato. Il calore e l’ematia in questo caso sono al primo posto ancora maggiormente.
Ecco le frasi da non dire a tavola per non far soffrire chi ha il DCA:
1 “Il tuo peso è nella norma, quindi non hai un problema”.
Un disturbo alimentare non si vede sulla bilancia. Chi ne soffre può essere normopeso, sottopeso o sovrappeso. Ridurre la complessità del problema a un numero (quello dei kg sulla bilancia) significa negare la sofferenza di chi lo vive.
2 “Non sembra che tu abbia un disturbo alimentare”.
I DCA non hanno un volto specifico, né un modo ‘giusto’ di apparire. Questa frase rafforza l’idea che si debba dimostrare di stare male per essere creduti, aumentando vergogna e senso di invisibilità.
3 “E’ solo una fase passeggera”.
Minimizzare il problema lo rende ancora più difficile da affrontare. I disturbi alimentari non sono un capriccio o una moda adolescenziale, ma richiedono attenzione, cura e, spesso, un lungo percorso di guarigione.
4 “Mangia di più e vedrai che passa”.
Il cibo non è né il problema né la soluzione. Frasi come questa ignorano come alla base di un DCA ci siano dolore emotivo, rigidità, paure e meccanismi di controllo profondi che certo non si risolvono forzandosi a mangiare.
5 “Non pensi di aver mangiato abbastanza?”.
Questa domanda fa sentire giudicati, controllati e può aumentare la tensione. Anche quando fatta ‘in buona fede’, mette l’accento su qualcosa di molto delicato e intimo, rischiando di innescare vergogna o reazioni difensive.
6 “Ma dai, oggi non si contano le calorie!”.
Una frase che può sembrare leggera o liberatoria, ma per chi ha un DCA può risultare invalidante o colpevolizzante. Non si tratta di ‘non voler godersi la festa’, ma di un malessere reale che richiede rispetto e grande tatto.

Scritto da Annamaria e postato in