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Gravidanza e lavoro: ancora un tabù

Feb 23
Scritto da Annamaria avatar

Gravidanza e lavoro possono essere ancora un tabù. E’ notizia di questi giorni della ragazza licenziata perché incinta dall’azienda dove aveva l’impiego. Tutto questo è inconcepibile.

gravidanza e lavoro ancora tabu

La denuncia che fa capire quanto la gravidanza e lavoro siano ancora un tabù, vengano percepite come due cose inconciliabili per alcune imprese, arriva da una ventenne di Nuoro. La donna è stata costretta a fare addirittura il test per la dolce attesa in bagno e poi è stata mandata via. Ha denunciato il caso alla Cgil. 

La ragazza era stata assunta da poco, “il 15 novembre scorso, da una piccola ditta che ha in appalto i servizi di pulizia in un’azienda nell’area industriale del nuorese. Avevo un contratto Multiservizi a tempo indeterminato dopo aver superato il periodo di prova di un mese. Ed è allora che sono cominciati i guai”. La datrice di lavoro, a causa di un malessere della malcapitata, le ha portato il test di gravidanza. Le avrebbe detto: “Se non lo fai ti licenzio”, il tutto “davanti a due colleghi maschi che conoscevo a malapena, mi ha chiesto di farlo subito, lì nel bagno dell’ufficio”.

Lei ha accettato: non voleva perdere il lavoro. “Non conoscevo nemmeno i miei diritti, non sapevo se potevo rifiutare senza conseguenze. Sono entrata in bagno e sono uscita con il risultato negativo del test”. 

Gravidanza e lavoro ancora tabù? La donna incinta lo era per davvero. “A metà gennaio. Avevo nausee continue, sono andata dalla ginecologa della Asl, mi ha fatto ripetere il test e l’ecografia e ho scoperto di aspettare un bambino. Alla dottoressa ho spiegato la mia situazione lavorativa e mi ha fatto un certificato per l’astensione anticipata dal lavoro per gravidanza a rischio dal 18 gennaio al 25 febbraio”. Si è rivolta al patronato Inca Cgil, che ha inviato la comunicazione telematica dello stato di gravidanza all’Inps e all’azienda.

La ditta non le ha pagato lo stipendio però: “Così il 16 febbraio mi sono rivolta di nuovo al sindacato per spiegare che non avevo ricevuto la mensilità di gennaio”. Così ha scoperto di essere stata mandata via. “La ditta ha inviato via WhatsApp la comunicazione Unilav sull’interruzione del rapporto di lavoro ‘per giusta causa’. Così c’è scritto”. Avrebbe nascosto la gravidanza e incinta non potrebbe svolgere la mansione che le hanno affidato. “Ci sono rimasta malissimo perché non navighiamo nell’oro. La Filcams Cgil ha denunciato il mio caso all’Ispettorato del lavoro di Nuoro, alla Asl locale e all’Inps. Spero che la situazione si risolva, perché non è giusto. Ora intanto la cosa più importante è che il bambino stia bene”.

E’ assurdo che nel 2024 accadono ancora queste cose, è impensabile che le donne siano costrette a non avere figli per avere un impiego e che ci sia una disparità di trattamento così evidente con gli uomini. Non lo si può più accettare.

Gravidanza e lavoro: discriminazione

Gen 04
Scritto da Annamaria avatar

Gravidanza e lavoro nel 2024 non devono essere impossibili da conciliare. Se accade, e purtroppo succede, è sbagliato. Eppure su Il Giorno un lungo articolo raccoglie storie di discriminazione, sono state raccolte dai sindacati a Monza. C’è chi nasconde il pancione fino all’ultimo, altre donne fingono di essere single pur di prendere o conservare un impiego.

La parità di genere è un diritto irrinunciabile oramai. Le donne non devono essere vittime di una discriminazione becera e patriarcale, la società, in Italia, deve, obbligatoriamente, evolversi. Gravidanza e lavoro devono procedere di pari passo, i figlii non possono diventare un incubo per chi decide di metterli al mondo.

Sono tante le storie di discriminazione, però, ahimè. Quelle che raccontano che gravidanza e lavoro per alcuni datori di lavoro sono inconciliabili. Caterina, 36 anni, da 7 anni, è disoccupata: ha lavorato come operaia di produzione in una ditta poi fallita a ottobre 2018. “Ma ha fatto una decina di colloqui. E ogni volta le è stato posto come problema il fatto di essere madre”, scrive Il giornale. ”In un call center di Desio ad esempio hanno preferito prendere una signora di 61 anni che non ha figli – racconta Caterina –. Mi chiedevano sempre se avessi figli o se fossi fidanzata o sposata. Questo è successo anche alle mie sorelle di 33 e 20 anni e a molte donne che conosco. E così molte preferiscono dire che sono single”.

C’è pure la storia di Giulia, brianzola di 40 anni, assunta nel 2015 come addetta in un call center. Dopo tre mesi si è trovata a ricoprire un ruolo di maggiore responsabilità (pur mantenendo lo stesso contratto). ”Ho avuto paura di andare in maternità nel 2017 – dice – Ho tenuto nascosta la gravidanza fino all’ultimo e ho lavorato fino al nono mese. Il lavoro in sé era molto impegnativo, ero costretta a proseguirlo anche fuori dall’orario, la sera, dopo cena, anche durante assenze per malattia o festività. Sono arrivati a dirmi: ‘Metti a letto le bambine se no non farai mai in tempo a finire’”.

“Anche la 104, che avevo per diritto – prosegue –, potevo prenderla solo per qualche ora che poi avrei dovuto recuperare, e per le figlie non ottenevo permessi. Nel 2019 ho iniziato ad ammalarmi d’animo, ho perso 40 chili in due anni, e vivevo di tranquillanti”. “Nel settembre del 2022 – conclude – ho avuto un esaurimento e poco dopo mi sono dimessa per giusta causa. Grazie alla vertenza sindacale presentata con la Cisl, ho ottenuto un risarcimento tramite conciliazione. Denunciare queste realtà è possibile e non è vero che dopo la vita è finita. Ora faccio un altro lavoro e ho ricominciato a vivere”.

Tutto questo è pazzesco e non può passare sotto silenzio. Essere accettato. Chi lo subisce deve denunciare. Chi lo subisce deve ribellarsi. Bisogna continuare a lottare per far sì che le cose cambino sempre più