Bambini: ora perfetta della cena
C’è chi addirittura li fa mangiare il pomeriggio, intorno alle 17, pur di non farli riempire di snack. Ma qual è l’ora perfetta della cena dei bambini?. Quelli in età scolare dovrebbero mangiare intorno alle 18.30/19. Sembra sia questa.
“E’ importante ricordare che l’orario e l’apporto calorico che diamo ai bambini per cena influiscono anche sul loro ritmo sonno-veglia, cenare troppo presto o troppo tardi non è una buona idea”, sottolinea la dottoressa Laura Chiesi a Fanpage quando le si domanda quale sia l’ora perfetta della cena dei bambini.
Poi la responsabile dell’unità professionale dietetica dell’azienda ospedaliero-universitaria Meyer -IRCCS dà il suo parere. “La cena dovrebbe essere servita ai bambini in età scolare attorno alle 18.30-19.00 e mai dopo le 19.30. L’importanza di rispettare questa finestra temporale è dettata dal fatto che il piccolo può mangiare quanto basta per sentirsi sazio, senza che il pasto influisca sulla qualità del suo sonno”, precisa.
Il medico sull’ora perfetta della cena dei bambini aggiunge: “Poi l’orario dipende anche dall’età del bimbo, se ha 1-3 anni può cenare verso le 18, dal momento che andrà a dormire verso le 20. Per i ragazzi più grandi l’orario può essere spinto più avanti, ma è importante non tardare troppo la messa a letto se l’indomani il bimbo deve andare a scuola”.
Il bambino non vuole andare a scuola
Se il bambino non vuole andare a scuola, è necessario capire il motivo. Se è ansia da separazione o c’è altro un malessere più profondo. Cause e rimedi li spiega Emanuela Confalonieri, psicologa.
La docente di psicologia dello sviluppo, presso l’Università Cattolica del Sacro cuore di Milano a Fanpage chiarisce: “Il bimbo sta vivendo qualcosa che è per lui un vero problema. Al genitore è chiesto quindi di immedesimarsi in lui e non sminuire le sue emozioni negative con un semplice ‘andrà tutto bene’. Servono empatia e tranquillità. Se il bimbo percepisce mamma e papà sereni nel portarlo a scuola, a poco a poco troverà piacevole andarci”.
“Ci sono due fattori molto importanti da tenere in considerazione che aiutano già a immaginare strategie diverse di reazione del genitore. In primo luogo l’età del bambino e dunque l’ordine di scuola che frequenta. In secondo luogo il momento dell’anno scolastico in cui il bambino mostra questa fatica. In entrambe le situazioni vi sono diverse variabili che rendono le cause del malessere diverse e differente anche la reazione del genitore”, prosegue la terapeuta.
“In ogni caso, dal punto di vista emotivo il genitore non deve spaventarsi o agitarsi, cercando di rimanere tranquillo senza drammatizzare. So che può essere complesso, ma vi assicuro che nella maggior parte dei casi questo malessere rientra e non si trasforma in una fobia scolastica o in un ritiro sociale. Quando parliamo di bambini molto piccoli che affrontano l’inizio della scuola dell’infanzia o primaria, se sentono che davanti alla loro fatica, i genitori li ascoltano senza farne un dramma e senza svilirli, dicendo ‘sei il solito pigrone’, ‘sono solo capricci’, ‘a scuola ci devi andare per forza’, si calmano”, continua.
“L’agitazione dei genitori quando un bimbo non vuole andare a scuola a volte è solo dettata dalle sue aspettative riguardo l’adattamento del figlio all’ambiente scolastico, ma non sempre le cose vanno come ci si aspetta e bisogna rispettare i bisogni e i tempi del bambino”, chiarisce la psicologa.
E’ necessario dialogare, cercando di tranquillizzare i piccoli. I segnali da tenere d’occhio se il bambino non vuole andare a scuola, per cercare cause e trovare rimedi, possono essere evidenti: “Se il bimbo è piccolo e sta iniziando per esempio un nuovo ordine di scuola, può manifestare i sintomi dell’ansia da separazione dai genitori e per la nuova esperienza. Ansia che si può contenere raccontando al bambino degli episodi positivi che sono accaduti nella vita di studenti dei genitori, così che lui inizi ad immaginare come sarà una giornata a scuola”.
E ancora: “Altri segnali da tenere in considerazione sono i cambiamenti nelle emozioni dei bambini. Se i piccoli improvvisamente risultano più tristi o arrabbiati, se fanno più capricci, bisogna rimanere in osservazione di questi cambiamenti. Vanno tenuti d’occhio i comportamenti nuovi anche inerenti al cibo, magari il bimbo mangia meno, o riguardo al sonno che potrebbe essere disregolato”.
Il confronto sereno se il bambino non vuole andare a scuola è il miglior rimedio. E le cause del rifiuto da dove vengono? “Le cause nei bambini più piccoli possono essere l’ansia di separazione dai genitori. Mentre per i ragazzi più grandi le cause riguardano spesso la loro sfera sociale. Gli studenti potrebbero non relazionarsi al meglio con gli insegnanti, perché questi hanno uno stile educativo diverso da quello dei genitori. O sono troppo richiestivi. Un altro problema potrebbe invece svilupparsi nella relazione con i compagni di classe, con i quali potrebbero sviluppare un rapporto conflittuale. O con i quali potrebbero temere il confronto sia dal punto di vista didattico che caratteriale”, dice Confalorieri.
“Oppure il ragazzo potrebbe avere delle difficoltà scolastiche, come per esempio rendersi conto di aver scelto il percorso di studi sbagliato. A questo punto la scuola diventa troppo difficile e quasi insostenibile per lui. Altre volte ancora, le cause non vanno cercate a scuola ma tra le mura di casa. Se un bambino ha da poco vissuto un trasloco, la separazione dei suoi genitori, un lutto, potrebbe essere così preoccupato, da considerare la scuola qualcosa di secondaria importanza. Il ragazzo potrebbe risultare annoiato sui banchi. Ma solo perché guarda alle lezioni come ad un ostacolo al bisogno di comprendere cosa sta accadendo nella sua vita”, precisa ancora la dottoressa.
Smog e rumore fanno crollare fertilità
State desiderando di mettere al mondo un figlio o allargare la famiglia? Sappiate che smog e rumore fanno crollare la fertilità. E’ quanto si evince da una ricerca coordinata da ricercatori del Danish Cancer Institute di Copenhagen, in Danimarca, e pubblicata sulla rivista British Medical Journal.
“L’infertilità è un grave problema di salute nel mondo, che colpisce una coppia su sette tra quelle che cercano di concepire”, sottolinea gli studiosi. Stando ai loro dati smog e rumore fanno crollare la fertilità. Questi sono gli effetti di chi vive in zone molto trafficate delle grandi città, ahimè.
“I ricercatori hanno scoperto che l’esposizione ad alti livelli di polveri sottili PM2.5 comporta un aumento del rischio di infertilità nell’uomo a partire dai 30 anni di età, quantificato in un +24%. Le donne con più di 35 anni sono invece quelle che soffrono di più gli effetti del rumore sulla fertilità, con un aumento del rischio del 14% per ogni aumento di 10,2 decibel del livello medio di rumore. Il rumore non sembra avere invece conseguenze sulle donne più giovani. Di piccola entità e limitati agli over-37, invece, gli effetti sugli uomini”, si legge su Tgcom24.
“Poiché molti Paesi occidentali si stanno confrontando con tassi di natalità in calo e un’età materna alla nascita del primo figlio in aumento, la conoscenza dei fattori ambientali che influenzano la fertilità è fondamentale. Se i nostri risultati saranno confermati in studi futuri, l’implementazione di politiche per la mitigazione dell’inquinamento atmosferico e del rumore potrebbero essere strumenti importanti per migliorare i tassi di natalità nel mondo occidentale”, concludono i ricercatori.
Smog e rumore fanno crollare la fertilità: è bene saperlo, in modo che, chi decide di essere genitore, possa, se possibile, preferire di vivere in zone maggiormente tranquille, lontane dal caos.
Ansia da separazione
L’ansia da separazione, che potrebbe manifestarsi nei vostri figli proprio ora con il ritorno a scuola, in realtà compare intorno agli otto mesi di vita del bebè, si intensifica introno ai 13-18 mesi di vita per poi ridursi progressivamente tra i 3 e i 5 anni.
L’ansia da separazione è “la reazione di spavento e di protesta che il bambino manifesta quando le sue principali figure di accudimento, specie la madre, si allontanano da lui o quando è in presenza di figure non familiari”. Lo spiega la psicologa e psicoterapeuta Valentina Nappo.
“Si tratta di un’importante e normale fase dello sviluppo sia intellettivo sia sociale del bambino, che testimonia come egli abbia imparato a riconoscere chi si occupa di lui, come abbia stabilito con il caregiver (colui che dà cure) un legame di attaccamento e come percepisca in sua assenza un pericolo”, chiarisce ancora la dottoressa.
I genitori davanti a un pianto disperato del proprio figlio e alle sue continue richieste difficilmente rimangono indifferenti. Ma non devono farsi sopraffare dall’ansia da separazione del piccolo. Parlandogli, con dolcezza e fermezza al tempo stesso, devono cercare di fargli acquisire nuove abitudini, cercando di superare brillantemente questa fase della crescita.
Se questi problemi perdurano, oltre l’età consentita, si parla di disturbo di ansia da separazione, in questo caso è richiesto l’intervento di uno specialista.
Sepsi neonatale causa 800mila decessi l’anno
Sono dati che fanno male: la sepsi neonatale causa circa 800mila decessi l’anno. La sepsi è una condizione potenzialmente letale caratterizzata da una risposta infiammatoria sistemica causata da un’infezione. Può rapidamente evolvere in disfunzione multiorgano e morte. Colpisce circa 49 milioni di persone, con 11 milioni di decessi all’anno a livello mondiale, portando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a identificarla come una priorità sanitaria globale. Ogni anno, il 13 settembre, si celebra la Giornata Mondiale contro la sepsi (World Sepsis Day), con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla gravità di questa patologia, spesso poco conosciuta.
La mortalità da sepsi è spesso legata a misure di prevenzione delle infezioni inadeguate, diagnosi tardiva e gestione clinica inappropriata. Il periodo neonatale presenta il rischio di sepsi più alto nell’arco della vita. E, di conseguenza, comporta un enorme carico medico, sociale ed economico a livello globale. Questa condizione, comunemente definita da una coltura microbica positiva in un paziente sintomatico, rimane una sfida considerevole a livello globale e, insieme alla nascita pretermine, è responsabile del maggior numero di decessi nel primo mese di vita. Ogni anno si stima che ci siano tra 3,9 e 5 milioni di casi di sepsi neonatale a livello globale. Causa circa 800mila decessi l’anno, a seconda dello studio. Tuttavia, le stime globali dell’incidenza e della mortalità sono spesso incerte a causa della mancanza di dati accurati e di sistemi di sorveglianza robusti, specialmente nei paesi a basso e medio reddito.
Anche se la sopravvivenza dei neonati pretermine e/o di basso peso alla nascita è nettamente migliorata nel tempo, questa popolazione necessita spesso di cure ospedaliere. Questo li espone a nuovi rischi infettivi sotto forma di infezioni acquisite in ospedale (hospital-acquired infections HAI). Infatti, un recente studio di coorte ha evidenziato che tra la popolazione neonatale ospedalizzata i tassi di sepsi sono più di sette volte superiori. Nelle unità di Terapia Intensiva Neonatale, più della metà delle HAI risultano essere sepsi acquisite in ambito ospedaliero (hospital-acquired sepsis HAS) responsabili di un aumento della mortalità del 5.5% nei neonati ospedalizzati affetti rispetto ai neonati con le stesse caratteristiche ma senza HAS.
Inoltre, la sepsi causata dalle cure sanitarie è associata a una degenza ospedaliera più lunga e a tassi di resistenza antimicrobica più elevati rispetto alla sepsi acquisita in comunità. Più della metà di tutti i casi di HAS sono, tuttavia, prevenibili attraverso misure appropriate di prevenzione e controllo delle infezioni.
In base al timing dell’infezione, la sepsi neonatale è stata classificata in sepsi ad esordio precoce (EOS – con esordio nelle prime 72 ore dalla nascita) e sepsi ad esordio tardivo (LOS – con esordio dopo i primi 3 giorni dalla nascita). Questa classificazione implica differenze nella modalità di trasmissione prevista e nei microrganismi patogeni predominanti. L’EOS è generalmente causata da trasmissione verticale dalle madri ai neonati durante il periodo intrapartum. Mentre la LOS è causata da trasmissione orizzontale postnatale, principalmente da microrganismi acquisiti dopo la nascita. Una recente revisione sistematica e metanalisi degli studi epidemiologici sulla sepsi neonatale ha riportato che la EOS è 2,6 volte più comune della LOS.
L’incidenza delle due forme di sepsi neonatale varia ampiamente tra diverse aree geografiche e gruppi di popolazione. Nei paesi sviluppati, l’incidenza della EOS è stimata intorno a 0,5-1 casi per 1.000 nati vivi e fino a 13.5 per 1.000 nati tra i pretermine, mentre la LOS, più comune tra i neonati ricoverati in UTIN, presenta tassi che possono superare gli 88 casi per 1.000 neonati ad alto rischio. Nei paesi a basso e medio reddito, l’incidenza è significativamente più elevata a causa di fattori come l’alta prevalenza di nascite pretermine, condizioni igieniche inadeguate e limitato accesso a cure prenatali e perinatali di qualità.
L’eziologia della sepsi neonatale è cambiata negli ultimi decenni a causa dell’aumento della resistenza antimicrobica, della disponibilità di tecnologie per diagnosticare le infezioni e guidare il trattamento e dell’utilizzo di dispositivi sanitari invasivi che aumentano il rischio di infezioni associate all’assistenza sanitaria. La sepsi neonatale causata da batteri Gram-negativi resistenti agli antibiotici è responsabile di circa il 30% dei decessi neonatali dovuti a sepsi.
La prognosi dipende dal riconoscimento precoce e dal trattamento appropriato, sebbene i segni e i sintomi siano spesso aspecifici e possano sovrapporsi a quelli di altre condizioni gravi. La prevenzione della sepsi neonatale si concentra principalmente sull’implementazione di misure efficaci di controllo delle infezioni e sulla gestione appropriata delle cure prenatali e perinatali. La prevenzione della EOS include lo screening materno per lo Streptococco di gruppo B durante la gravidanza e la somministrazione di antibiotici profilattici alle donne a rischio durante il parto.
Le misure preventive contro la LOS includono pratiche igieniche rigorose, la gestione sicura dei dispositivi invasivi e la promozione dell’allattamento al seno, che può fornire immunità passiva contro molte infezioni. Una componente critica della prevenzione è anche il miglioramento della formazione del personale sanitario nelle unità neonatali, insieme all’implementazione di protocolli standardizzati di controllo delle infezioni.
Nonostante i progressi nella gestione e prevenzione, la sepsi neonatale rimane una sfida significativa. Le limitazioni nella diagnosi rapida, l’aumento della resistenza antimicrobica e la carenza di dati epidemiologici accurati continuano a ostacolare gli sforzi globali per ridurre l’incidenza e la mortalità. L’adozione di nuove tecnologie diagnostiche, l’investimento in ricerca per nuovi trattamenti e vaccini e il miglioramento dei sistemi di sorveglianza sono essenziali per affrontare questa sfida.
Collant in gravidanza
Molte donne ne hanno proprio bisogno. I collant riposanti in gravidanza sono l’ideale per le donne che hanno bisogno della compressione per alleviare la pesantezza agli arti inferiori. Il più delle volte sono addirittura consigliate a partire dal terzo mese di gestazione e anche nelle prime settimane post-parto. La circolazione ne beneficia molto: le gambe e i piedi si gonfiano molto meno.
I collant a compressione medica appositamente progettati per le donne in gravidanza possono fornire una compressione graduata dalla caviglia all’addome a 20-30 mmHg. Le migliori, ovviamente, devono essere confortevoli e avere l’apposito spazio per contenere il pancione. Esistono opache, in microfibra, 20 den. Ci sono anche quelle a punta aperta. Ci sono quelle con compressione graduata bassa o quelle con compressione graduata media/alta.
Come detto i collant in gravidanza migliorano la circolazione sanguigna. Ricordate però di adottare anche buone e sane abitudini:
Fare la doccia alternando sempre acqua calda e acqua fredda sulle gambe e i piedi
Camminare, senza strafare, evitando di stare sempre sedute o sul divano
Non rinunciare all’attività fisica, Posturale o nuoto o yoga sono il non plus ultra.
Galette mele e salsa di caramello
Si avvicina l’autunno e torna la voglia di dolci nei nostri piccolini. Cosa preparare loro per una merenda deliziosa? La galette mele e salsa di caramello è quello che fa per noi.
Per preparare la galette mela e salsa di caramello occorre avere:
Per la brisée:
300 gr farina 00
150 gr di burro freddo
110 ml di acqua fredda
1 presa di sale
Per la farcia
4 mele
40 gr di zucchero di canna
40 gr di burro
1 cucchiaino di cannella
1 limone
1 uovo
Per la salsa al caramello
260 g di zucchero semolato
120 g di burro
200 g di panna fresca liquida
Iniziamo dalla pasta brisée. Mettete la farina a fontana sulla spianatoia con al centro i tocchetti di burro freddo. Lavorate velocemente aggiungendo acqua e un pizzico di sale fino a quando il burro si scioglierà e sarà ben amalgamato. Coprite il composto con della pellicola trasparente e lasciate riposare in frigo per 1 ora. Lavate le mele, tagliatele a fette tenendo la buccia. Fate sciogliere il burro in padella con metà dello zucchero. Unite, poi, le mele, il restante zucchero e il succo di un limone. Fate cuocere a fiamma media finché le mele non si saranno ammorbidite. Toglietele dal fuoco e lasciatele raffreddare. Stendete il panetto di pasta brisée e trasferitelo su una teglia da forno ricoperta da carta forno. Versate al centro le mele, ricordando di lasciare 5 cm dal bordo. Ripiegate i bordi verso il centro, spennellate con un uovo sbattuto e fate cuocere in forno preriscaldato a 200° per circa 40 minuti.
La salsa al caramello. Mettete lo zucchero in un pentolino e lasciatelo sciogliere a fuoco medio senza mescolare mai, roteando la pentola ogni tanto. Quando si sarà sciolto e sarà dorato, mescolatelo con una frusta in acciaio e spegnete immediatamente il fuoco. Senza smettere di mescolare aggiungete subito il burro a pezzetti. Quando si sarà sciolto, unite la panna continuando a mescolare. Trasferite la salsa al caramello in una ciotola e fatela raffreddare prima di utilizzarla.
Sfornate la galette mele e salsa di caramello e quando si sarà raffreddata servitela con la salsa.
Zero alcol in gravidanza
L’ISS dà il via alla campagna “Zero alcol in gravidanza”. Gli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità, a pochi giorni dalla Giornata mondiale della lotta alla sindrome feto-alcolica e dei disturbi correlati, che si celebra il 9 settembre, lanciano una campagna social. Non esiste una quantità sicura di alcol durante una dolce attesa.
I dati sono comunque allarmanti. Una percentuale piccola di future mamme, lo 0,2%, rientra in un profilo di bevitrice cronica. Quasi il 6% è bevitrice sociale, beve cioè saltuariamente durante incontri e uscite. Questi gli ultimi dati del Centro nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità relativi al triennio 2019- 2022. Bisogna perciò sottolineare quanto sia importante scegliere di non bere. Quindi “Zero alcol in gravidanza”.
Le persone con disturbi della sindrome feto-alcolica (FASD) mostrano “deficit di pensiero astratto, di organizzazione, di pianificazione, di apprendimento, nel ricordare sequenze di eventi, nel collegare relazioni di causa-effetto, deficit di linguaggio espressivo e ricettivo, nelle abilità sociali e di consapevolezza e regolazione dei comportamenti e delle emozioni – sottolineano dall’ISS -. L’elenco attuale comprende più di 400 condizioni associate e che comportano disabilità più o meno gravi che accompagnano chi è colpito per tutta la vita”. “Tutti i disordini feto-alcolici infatti sono prevenibili al 100 per cento evitando di bere”, chiariscono. E’ importante capire con con zero alcol in gravidanza si vive meglio.