Enuresi notturna: falsi miti da sfatare
L’enuresi notturna è il termine medico per indicare la perdita involontaria di urina durante il sonno, comunemente chiamata pipì a letto. Ne soffre fino a 1 bimbo su 10 in età scolare La Società di Pediatria si raccomanda di non sottovalutare il problema. Ecco i falsi miti da sfatare.
“E’ tempo di superare l’atteggiamento attendista”, dice Pietro Ferrara. Il vicepresidente della SIP e Responsabile del Centro per la cura del bambino con enuresi e altri disordini minzionali al Campus Universitario Bio-medico di Roma non ha dubbi. “L’enuresi notturna non è un disturbo mentale, ma soprattutto non è una colpa, né una ‘svogliatezza’ del bambino. E’ una condizione ben definita, con cause precise, da affrontare con strumenti diagnostici semplici e terapie efficaci. Ma troppo spesso la problematica viene ignorata, anche in ambito medico. La conseguenza? Bambini che si sentono inadeguati, famiglie che si colpevolizzano o rinunciano a chiedere aiuto, e un disagio che si trascina per anni”.
La Società Italiana di Pediatria diffonde i falsi miti da sfatare e consigli utili per aiutare i bambini e le famiglie.
Passerà da sola, basta aspettare
Uno degli errori più comuni è pensare che l’enuresi sia solo una fase transitoria della crescita e che non serva intervenire. Ma le evidenze scientifiche dimostrano che questa aspettativa è spesso infondata. I bambini che bagnano il letto frequentemente (più di cinque notti a settimana) hanno solo il 50% di probabilità di acquisire la continenza notturna prima dell’età adulta. Rinviare la diagnosi e il trattamento, quindi, non significa “aspettare che passi”, ma rischiare di cronicizzare un disturbo che può diventare sempre più pesante sul piano emotivo e relazionale.
E’ solo un problema psicologico
L’enuresi primaria non nasce da traumi o stress emotivi, come spesso si crede. Al contrario, può essere causa di disagio psicologico, non effetto. Le cause principali sono fisiologiche: una produzione inadeguata di ormone antidiuretico (vasopressina), un ritardo nella maturazione dei circuiti cerebrali che regolano il risveglio, oppure una vescica iperattiva o non sufficientemente allenata. È un disturbo che può avere riflessi psicologici, soprattutto se viene trascurato o poco considerato.
Dorme troppo profondamente, non sente lo stimolo
Non è vero che i bambini con enuresi hanno un sonno più profondo del normale. Gli studi dimostrano che il problema è una ridotta capacità di risveglio in risposta al segnale della vescica piena, spesso per un’anomalia dell’attività del locus coeruleus, un’area del cervello che regola la risposta agli stimoli interni ed esterni. Di fatto, il sonno è più frammentato e meno riposante, con possibili effetti negativi anche sulla concentrazione diurna e sul rendimento scolastico.
Svegliarlo di notte per farlo urinare lo aiuta a guarire
Può sembrare una soluzione pratica, ma in realtà è controproducente. Accompagnare il bambino in bagno durante il sonno, magari svegliandolo a orari fissi, non favorisce l’apprendimento del controllo vescicale. Il bambino urina meccanicamente, senza associare l’azione allo stimolo fisiologico. Inoltre, il sonno disturbato compromette la qualità del riposo e può peggiorare la situazione. Il cervello ha bisogno di imparare a rispondere allo stimolo della vescica da solo.
Se non ne parla, vuol dire che non gli pesa
Molti bambini non esprimono apertamente il disagio, ma lo vivono intensamente. Possono provare vergogna, sentirsi diversi dai coetanei, evitare di dormire fuori casa o partecipare a gite scolastiche. Alcuni si colpevolizzano, altri si chiudono in sé stessi. È fondamentale che gli adulti siano in grado di cogliere questi segnali silenziosi e offrano sostegno senza giudizio.
Il bambino ha la vescica troppo piccola, non c’è nulla da fare
Spesso la vescica è perfettamente normale dal punto di vista anatomico, ma “piccola” dal punto di vista funzionale. In molti casi, basta un corretto schema di idratazione (più liquidi al mattino e meno la sera) e una regolarità nell’urinare per allenarla a contenere di più.
Se il bambino non è motivato, la terapia è inutile
Molti bambini appaiono disinteressati solo perché si sentono inadeguati o colpevolizzati. Un corretto approccio educativo, centrato sull’ascolto e sul rispetto dei tempi del bambino, può rafforzare la sua motivazione. Il sostegno empatico della famiglia e del pediatra è essenziale per costruire un percorso efficace. Va valutato inoltre da caso a caso la possibilità di terapia farmacologica.
I consigli della Società Italiana di Pediatria
Incentivare un’idratazione regolare durante il giorno
Incoraggiare il bambino a bere almeno un litro e mezzo d’acqua tra le 8.00 e le 18.00, distribuendo i liquidi in modo equilibrato. Questo riduce la sete serale e aiuta la vescica ad allenarsi con minzioni frequenti.
Promuovere l’abitudine a urinare regolarmente
Invitare il bambino a svuotare la vescica ogni 2,5-3 ore durante il giorno. Una vescica ben allenata aumenta la propria capacità e favorisce il controllo notturno.
Prestare attenzione all’alimentazione serale
Evitare di consumare a cena cibi molto liquidi (come minestre o brodi) o ricchi di calcio e sodio, come latte, formaggi stagionati, salumi e alimenti conservati. Questi elementi aumentano la produzione di urina nelle ore notturne e possono interferire con la capacità della vescica di trattenere i liquidi durante il sonno.
Curare eventuali episodi di stitichezza
Un intestino non svuotato correttamente può comprimere la vescica e stimolare l’iperattività vescicale. Affrontare la stipsi è un passo fondamentale nella gestione dell’enuresi.
Rispettare i tempi del bambino e favorire la fiducia
Un bambino che si sente accolto e supportato è più disposto a collaborare. È importante parlare apertamente del problema senza colpevolizzarlo, valorizzandone i progressi.
Affidarsi al pediatra per una guida personalizzata
Il pediatra è il primo riferimento per valutare la situazione, distinguere le diverse forme di enuresi e impostare, se necessario, un trattamento adeguato o un invio specialistico.
Ragazzi liberi dal fumo
I ragazzi devono essere liberi dal fumo e lo dico io che sono, ahimè, un’ex fumatrice. E ho iniziato a 16 anni con le bionde. Il numero di giovani tra i 13 e i 15 anni che consumano tabacco nel mondo continua a crescere e questo è folle. Sono 37 milioni!
Il manifesto “GenZero Fumo” è un’iniziativa della LILT Milano Monza Brianza, lanciata in occasione della Giornata Mondiale Senza Tabacco, con l’obiettivo di sensibilizzare i giovani sui rischi del fumo e promuovere una generazione libera dal tabacco. Il manifesto si articola in sette punti chiave, ognuno rappresentato da illustrazioni colorate e messaggi diretti, pensati per coinvolgere e informare i ragazzi in modo efficace. Così che siano finalmente liberi dal fumo per loro scelta consapevole.
I 7 punti del manifesto “GenZero Fumo”:
- Scelgo la mia salute
Rifiuto il fumo per proteggere la mia salute e quella di chi mi circonda.
- Non mi faccio ingannare
Riconosco le strategie del marketing del tabacco e non mi lascio sedurre da esse.
- Non sono una moda
Non seguo le mode dannose; scelgo ciò che è meglio per me.
- Mi impegno per un pianeta più pulito
Evito il fumo per contribuire a un ambiente più sano e sostenibile.
- Proteggo la libertà di tutti
Rispetto la libertà altrui evitando di esporre gli altri al fumo passivo.
- Mi informo e informo
Cerco informazioni accurate sui danni del fumo e le condivido con gli altri.
- Siamo il cambiamento
Insieme possiamo creare una generazione libera dal fumo.
Questi punti mirano a responsabilizzare i giovani, incoraggiandoli a fare scelte consapevoli per la loro salute e quella della comunità. Svelare l’inganno del fumo è l’obiettivo del progetto Nicotine & Tobacco Free coordinato da LILT Milano, in collaborazione con l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e le associazioni provinciali di Campobasso, Firenze, Lecco, Napoli, Oristano, Trento, e con il contributo di LILT nazionale. La Giornata Mondiale senza Tabacco si celebra, come sempre il 31 maggio.
Microbiota in equilibrio: metodo delle tre F
Il microbiota deve essere sempre in equilibrio. Lo spiega chiaramente Maria Rescigno al Corriere della Sera. Come? Con il metodo delle tre F.
La prorettrice alla Ricerca di Humanitas University e vice direttrice scientifica per la Ricerca di base dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas chiarisce tutto in un libro. Ne Microbiota, se lo conosci ti curi meglio. Guadagnare salute e fronteggiare le malattie autoimmuni portando equilibrio nell’intestino, edito da Sozogno, scritto a quattro mani con Carlo Selmi, è tutto nero su bianco.
Come mantenere il microbiota in equilibrio col metodo delle tre F? Sono piccoli accorgimenti che ci migliorano dentro e fuori e ci fanno stare in salute, regalandoci pure longevità.
“Noi abbiamo individuato il metodo delle tre F — fibre, fermenti, fitness — che, oltre a essere efficace, è anche facile da memorizzare. Si tratta delle tre F che bisogna sempre avere presente nella propria vita, soprattutto quando l’età avanza. Questo perché, con gli anni, il microbiota tende a impoverirsi, a perdere la sua naturale biodiversità. Proprio qui entrano in gioco le fibre, i fermentati e il fitness che, insieme, contribuiscono a mantenere giovane più a lungo l’universo dei nostri microbi”, spiega Rescigno.
“Le tre F si integrano perfettamente con la dieta mediterranea che si conferma un evergreen nella modulazione ottimale della diversità e stabilità del microbiota, favorendo la corretta permeabilità intestinale e la funzione immunitaria. A scanso di equivoci, per dieta mediterranea non si intende solo pasta, pane, pizza, magari da farine raffinate, ma verdure, legumi e cereali integrali così da garantire l’apporto necessario di fibre”, aggiunge l’esperta.
Cosa bisogna mettere a tavola? “Cereali integrali, frutta fresca di stagione, frutta secca a guscio come le noci, funghi (scegliendo con attenzione), legumi, ortaggi, semi oleosi. Con le fibre (o prebiotici) contenute in questi cibi noi andiamo a nutrire i batteri buoni, probiotici, i quali rilasciano postbiotici, i metaboliti che contribuiscono al funzionamento del nostro organismo”.
E ancora: “A pranzo e a cena il nostro piatto dovrà contenere per metà verdura e frutta fresca, per la precisione più verdura che frutta; per un quarto cereali e derivati (quantomeno una volta al giorno integrali); per l’ultimo quarto proteine a rotazione, cercando di mangiare legumi almeno tre volte alla settimana. Il consiglio in più: bene cominciare sempre con un piatto di insalata: riduce l’impatto glicemico degli alimenti introdotti in seguito. A piacere, anche ogni giorno, si possono spizzicare o aggiungere alle pietanze semi oleosi e frutta secca a guscio come le noci”. Anche i fermentati fanno un gran bene per un microbiota in equilibrio. E lo sport.
Colpo della strega
A volte ci blocca, con forti dolori e invalidità. Accade a donne e uomini, mamme e papà. Sto parlando della lombalgia, comunemente detta colpo della strega. Cosa fare?
Molto diffuso, spesso è risolvibile con semplici antidolorifici. La Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia però ci dice 10 cose da sapere sul colpo della strega per risolverlo e superarlo.
Ecco il vademecun per la risoluzione del problema quando si è colpiti dal colpo della strega:
- 1. La maggior parte delle persone con lombalgia può essere trattata dal medico di medicina generale, con riposo e farmaci antidolorifici volti al trattamento dell’infiammazione e delle contratture.
- 2. Quasi sempre il trattamento conservativo migliora le condizioni cliniche e non richiede accertamenti specifici. Se i sintomi persistono o peggiorano è però opportuno controllare il rachide con una radiografia lombare e, in caso di sospetto clinico specifico, una risonanza magnetica.
- 3. La maggior parte delle lombalgie ha origine dalla colonna vertebrale, ma alcune, chiamate extravertebrale, possono sorgere dagli organi interni. Tra quelle nella colonna vertebrale la più frequente è dovuta ad un’infiammazione della colonna, ma della stessa categoria fanno parte anche patologie come protrusioni, ernie del disco e stenosi della colonna vertebrale. Nelle lombalgie extravertebrali rientrano invece malattie molto diverse tra loro come coliche renali o aneurismi dell’aorta addominale.
- 4. Sedentarietà, sovrappeso, mancanza di attività fisica regolare appropriata per l’età e abitudine ad effettuare sforzi eccessivi aumentano il rischio di lombalgia.
- 5. Nonostante le lombalgie colpiscano soprattutto gli adulti, possono verificarsi anche negli adolescenti.
- 6. Se la lombalgia è insorta dopo cadute o sforzi fisici, specialmente nella popolazione più anziana, potrebbe trattarsi di una “frattura da fragilità” della colonna lombare, una condizione associata all’osteoporosi, che richiede un trattamento sintomatologico ma anche un’analisi del metabolismo dell’osso con un trattamento farmacologico appropriato.
- 7. Quando il dolore lombare si irradia agli arti inferiori, spesso si verifica una compressione di una o più radici nervose che può determinare dolore e debolezza di uno dei muscoli degli arti, con difficoltà alla deambulazione. In questo caso, è necessario effettuare approfondimenti per identificare le cause dell’evento e pianificare il trattamento più appropriato.
- 8. La fisioterapia è efficace nel trattamento della lombalgia, ma richiede una diagnosi e prescrizione medica prima di iniziarla. Per farlo meglio aspettare la fine della fase acuta del dolore.
- 9. L’uso del busto, soprattutto nelle fasi più acute del dolore, può rivelarsi molto utile perché modifica la postura e permette lo scarico della colonna vertebrale.10. Generalmente il trattamento conservativo è sufficiente a risolvere la lombalgia ma esistono casi specifici nei quali è necessario intervenire chirurgicamente per trattare la causa del dolore, come per un’ernia del disco o un restringimento del canale spinale.
DCA: frasi da non dire a tavola
Ci sono frasi da non dire a tavola o durante il picnic in questo giorno di festa. Sono parole da cancellare sempre se si ha accanto una persona affetta dal disturbo del comportamento alimentare (DCA). Lilac Centro DCA, la prima digital health tech startup in Italia che insegna un nuovo approccio ai disturbi alimentari, ha elaborato un vademecum. E una guida pensata proprio per evitare di ferire involontariamente qualcuno.
Le frasi da non dire a tavola sono semplici. E’ basilare cercare di non urtare la suscettibilità di chi soffre di DCA. Quelle per non far sentire alcuno giudicato. Il calore e l’ematia in questo caso sono al primo posto ancora maggiormente.
Ecco le frasi da non dire a tavola per non far soffrire chi ha il DCA:
1 “Il tuo peso è nella norma, quindi non hai un problema”.
Un disturbo alimentare non si vede sulla bilancia. Chi ne soffre può essere normopeso, sottopeso o sovrappeso. Ridurre la complessità del problema a un numero (quello dei kg sulla bilancia) significa negare la sofferenza di chi lo vive.
2 “Non sembra che tu abbia un disturbo alimentare”.
I DCA non hanno un volto specifico, né un modo ‘giusto’ di apparire. Questa frase rafforza l’idea che si debba dimostrare di stare male per essere creduti, aumentando vergogna e senso di invisibilità.
3 “E’ solo una fase passeggera”.
Minimizzare il problema lo rende ancora più difficile da affrontare. I disturbi alimentari non sono un capriccio o una moda adolescenziale, ma richiedono attenzione, cura e, spesso, un lungo percorso di guarigione.
4 “Mangia di più e vedrai che passa”.
Il cibo non è né il problema né la soluzione. Frasi come questa ignorano come alla base di un DCA ci siano dolore emotivo, rigidità, paure e meccanismi di controllo profondi che certo non si risolvono forzandosi a mangiare.
5 “Non pensi di aver mangiato abbastanza?”.
Questa domanda fa sentire giudicati, controllati e può aumentare la tensione. Anche quando fatta ‘in buona fede’, mette l’accento su qualcosa di molto delicato e intimo, rischiando di innescare vergogna o reazioni difensive.
6 “Ma dai, oggi non si contano le calorie!”.
Una frase che può sembrare leggera o liberatoria, ma per chi ha un DCA può risultare invalidante o colpevolizzante. Non si tratta di ‘non voler godersi la festa’, ma di un malessere reale che richiede rispetto e grande tatto.
Vaccini salvano vite
I vaccini salvano vite. Lo sottolinea a gran voce la SIP. Ogni minuto, da cinquant’anni, sei persone sono state salvate grazie a un vaccino. A ricordarlo è l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sottolineando che negli ultimi cinquant’anni i vaccini hanno salvato 154 milioni di vite. Nello stesso periodo la vaccinazione ha ridotto del 40% la mortalità infantile. Il solo vaccino contro il morbillo ha contribuito al 60% di queste vite salvate.
In occasione della Settimana Mondiale dell’Immunizzazione, promossa dall’OMS che si celebra dal 24 al 30 aprile, e della Settimana Europea delle Vaccinazioni (27 aprile – 3 maggio), la Società Italiana di Pediatria richiama l’attenzione sull’importanza di proteggere la salute in ogni fase della vita, ribadendo il ruolo chiave delle vaccinazioni per bambini, adolescenti e donne in gravidanza.
“Questa ricorrenza non è solo un’occasione per celebrare i successi della vaccinazione – afferma il Presidente della Società Italiana di Pediatria (SIP), Rino Agostiniani – ma anche per riflettere sulle sfide che ancora restano aperte anche nel nostro Paese, a partire dalle coperture insufficienti negli adolescenti e nelle donne in gravidanza, fino al preoccupante ritorno del morbillo. L’Italia ha gli strumenti per migliorare, ma servono più informazione e più fiducia”.
Nel nostro Paese, secondo i dati del Ministero della Salute, si osserva un leggero calo della maggior parte delle vaccinazioni raccomandate nei primi anni di età. Le coperture vaccinali per polio (usata come proxy per le vaccinazioni contenute nell’esavalente) e per il morbillo sono leggermente al di sotto della soglia del 95% raccomandata dall’OMS: 94,76% per la poliomielite e 94,64% per il morbillo (coorte 2021).
A preoccupare è soprattutto la ripresa del morbillo, con oltre 1.000 casi nel 2024 contro i contro i 44 dell’anno precedente e ben 227 casi nei primi tre mesi del 2025 (dati Istituto Superiore di Sanità). Il nostro Paese è il secondo più colpito in Europa dopo la Romania. E il 90% delle persone colpite non era vaccinata.
Ma le carenze più evidenti riguardano le vaccinazioni raccomandate nell’adolescenza. Quella della dose di richiamo contro il meningococco coniugato ACWY – che protegge da meningiti e sepsi potenzialmente gravi e permanenti – seppur in lieve miglioramento, nella coorte dei 16enni, raggiunge appena il 56,98% a livello nazionale. Ben lontano dall’obiettivo di copertura vaccinale ≥ 95%, previsto dal vigente Piano Nazionale Vaccini.
Tra le vaccinazioni più trascurate, l’anti-HPV (Papilloma Virus Umano) merita un’attenzione particolare. Il virus è responsabile di diverse forme di cancro: collo dell’utero, ano, pene, testa-collo (orofaringe), oltre a verruche genitali. E riguarda entrambi i sessi. I vaccini, non bisogna dimenticarlo, salvano vite.
Nel 2023, solo il 45,39% delle ragazze nate nel 2011 ha completato il ciclo vaccinale, mentre tra i coetanei maschi la percentuale scende al 39,35%. Nessuna Regione ha raggiunto l’obiettivo minimo del 95%, con picchi negativi come il Friuli-Venezia Giulia (12%) e la Sicilia (23%).
“E’ ancora troppo diffusa l’idea che l’HPV sia un problema solo femminile – continua Agostiniani –. Ma vaccinare anche i ragazzi è fondamentale, sia per la loro protezione diretta, sia per interrompere la circolazione del virus. Solo così possiamo ridurre davvero il carico di malattia”.
La gravidanza rappresenta un momento cruciale per la prevenzione. In questa fase, sono raccomandate alcune vaccinazioni fondamentali: dTpa (contro la pertosse), antinfluenzale, anti-Covid-19 e quella contro il virus respiratorio sinciziale, recentemente introdotta.
“Vaccinarsi in gravidanza significa offrire al neonato una protezione immediata, soprattutto nei primi mesi di vita, quando è più vulnerabile – afferma Rocco Russo, responsabile del Tavolo tecnico vaccinazioni della SIP –. Eppure, in Italia le coperture restano basse, a causa di paure infondate e informazioni poco chiare. Serve un lavoro coordinato tra ginecologi, ostetriche, pediatri e medici di medicina generale per superare queste resistenze e proteggere davvero i più piccoli”.
Anche prima del concepimento è importante agire in ottica preventiva. “Le donne in età fertile dovrebbero essere immunizzate contro morbillo, parotite, rosolia (MPR) e varicella, in quanto un’infezione contratta in gravidanza, specialmente nelle prime settimane, può comportare gravi rischi per non solo per il nascituro, ma anche per la stessa gestante. Dal momento che i vaccini MPR e contro la varicella sono controindicati in gravidanza, è fondamentale che la vaccinazione avvenga prima del concepimento, con due dosi somministrate almeno un mese prima dell’inizio della gravidanza”, conclude Russo. Tenetelo tutti a mente: i vaccini salvano vite, la vaccinazione è importantissima.
Rimedi anti polline
E’ il periodo critico per molti allergici, tra cui tanti bambini. Ci sono alcuni semplici rimedi anti polline che possono migliorare la giornata durante la primavere. Soprattutto nel lungo periodo festivo che ci si appresta a vivere, ponti compresi.
Tra i rimedi anti polline per scansare i disagi, primo tra tutti è sicuramente quello di evitare di fare pic-nic nei prati, nei campi coltivati e nei terreni incolti in questo lasso di tempo. Lo so che sono belli e divertenti in famiglia, ma se tra di voi c’è un allergico, sono guai certi. Quindi no.
Altro tra i rimedi anti polline anche quello dedicato alle passeggiate in campagna: nelle ore mattutine rinunciate, in special modo se c’è sole con vento e tempo secco. In questo momento le mete ideali sono o la montagna, oltre i 1000 metri, o le località di mare.
Quando uscite a piedi, occhiali da sole e cappello con visiera, cambiare gli abiti appena si rientra a casa o in hotel, se si è in vacanza. Nei lunghi viaggi in auto, ma pure nei brevi spostamenti, tenere chiusi i finestrini e utilizzare il climatizzatore, in quanto dotato di filtro anti-polline.
Mai esporre i vostri figli al fumo passivo, questo in generale è super raccomandato dai pediatri, soprattutto se vostro figlio soffre di allergie.
Allergie: 8 regole per contrastarle
Saliranno a dismisura. Cosa? Le allergie, tutta colpa dell’inquinamento e del cambiamento climatico. Al XXVII Congresso nazionale la Società italiana di allergologia e immunologia pediatrica dà le 8 regole, dirette alle istituzioni, per contrastarle: le riporta il Corriere della Sera.
“Il riscaldamento globale – spiega il professor Michele Miraglia del Giudice, presidente Siaip – favorisce l’aumento della concentrazione di biossido di carbonio, sostanza in grado di stimolare una maggiore produzione di polline da parte, per esempio, di betulle e ambrosia, responsabili di moltissime reazioni allergiche. Ormai i pollini sono presenti tutto l’anno ed è aumentata anche la quantità”.
“L’aumento dell’ozono troposferico – aggiunge il professor Gianluigi Marseglia, past president di Siaip – possono aggravare rinite allergica, asma, dermatite atopica. Uno studio svedese sottolinea come l’esposizione a pollini nei primi mesi di vita, o addirittura nella vita intrauterina, sia associato a una maggiore probabilità di sensibilizzazione allergica e insorgenza di malattie respiratorie”.
I dati in Italia riguardo le allergie sono allarmanti. Secondo Save the Children, l’8,4 per cento dei piccoli tra i 6 e i 7 anni soffre di asma correlata all’inquinamento. L’81,4 per cento vive in zone inquinate da polveri sottili, il 100 per cento in 8 Regioni: Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte Puglia, Trentino e Veneto. Le istituzioni dovrebbero fare tesoro delle 8 regole per contrastarle.
Il Manifesto Siaip rivolto alle istituzioni mostra le 8 regole per contrastarle. Le allergie legate al cambiamento climatico altrimenti diventeranno un problema sempre più serio.
1. piani di controllo dell’inquinamento: riduzione delle emissioni urbane per migliorare la qualità dell’aria; riduzione delle emissioni di gas serra;
2. rafforzamento delle strategie di sanità pubblica attraverso misure come il miglioramento della ventilazione e il controllo dell’umidità;
3. eliminazione delle fonti inquinanti indoor, come il fumo di sigaretta e di sigarette elettroniche;
4. progettazione urbana sostenibile: aumento delle aree verdi per ridurre la dispersione degli allergeni, interventi mirati per migliorare la qualità dell’aria, ridurre l’inquinamento atmosferico e migliorare la qualità degli edifici per prevenire la sick building syndrome, attraverso una migliore ventilazione, l’uso di materiali non inquinanti e la riduzione dell’umidità indoor;
5. monitoraggio pollinico: creazione di sistemi di allerta precoce per informare in maniera corretta e puntuale la popolazione;
6. educazione e sensibilizzazione: informare la popolazione sui rischi e sulle strategie preventive; diffusione di informazioni tempestive sui livelli di allergeni nell’aria;
7. ricerca e innovazione: sviluppo di nuove terapie e strategie per migliorare la gestione delle allergie ambientali;
8. collaborazione internazionale: sviluppo di programmi di ricerca congiunti a livello europeo e globale per studiare gli effetti del cambiamento climatico sulle allergie.