Pipì a letto anche a 14 anni: parlarne

Nov 10
Scritto da Annamaria avatar

I vostri figli fanno pipì a letto anche a 14 anni? Non dovete farli vergognare, parlarne è la cosa migliore.

La pipì a letto, enuresi, anche a 14 anni può essere fortemente penalizzante per il ragazzo, ma ricordatevi che parlarne con un esperto è opportuno, perché potrebbe non essere solo un problema psicologico il fattore scatenante. Anzi, aspettare che il problema si risolva da solo è penalizzante. Ad affermarlo sono stati un gruppo di esperti riuniti al Senato su iniziativa della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS), in collaborazione con l’Associazione di Iniziativa Parlamentare e Legislativa per la Salute e la Prevenzione.

“Impieghiamo mediamente cinque anni per imparare a fare pipì, un tempo necessario perché l’apparato urinario raggiunga la sua piena maturazione – spiega Maria Laura Chiozza, urologa pediatra e ricercatrice presso l’Università degli studi di Padova – ma anche perché occorre del tempo perché da bisogno fisiologico immediato diventi un bisogno fisiologico che possiamo inibire, trattenendolo fino a farlo nel posto e nel momento giusto”.

Se dopo i 5 anni la pipì a letto continua e dura almeno tre mesi, meglio rivolgersi al pediatra. Tradizionalmente si identificano due forme di enuresi, quella monosintomatica, legata alla perdita di pipì, per lo più notturna, e quella non monosintomatica, quando c’è difficoltà a trattenere o emettere urina, corse al bagno, urgenza di minzione. Sono disturbi che colpiscono anche fino a 14 anni e possono pure trascinarsi oltre.

Parlarne col medico è l’ottimo. “Si tratta di uno squilibrio tra l’eccessiva produzione di urina durante la notte e la vescica che è più piccola rispetto alla capacità attesa per quell’età; il bambino non sente il bisogno di urinare e bagna il letto – riprende Chiozza – Si tratta di un problema soprattutto fisiologico che va preso in carico e contro cui oggi possiamo fare molto con le terapie, per esempio con soluzioni farmacologiche capaci di regolare il traffico di acqua a livello renale, alterato nei bambini con enuresi”. “Facciamo attenzione allo stress, soprattutto come fattore capace di svelare problemi sottostanti”, precisa Chiozza. Crescere aiuta, ma non basta.

“Ritardare di affrontare il problema ha ripercussioni importanti: il bambino che ha paura di bagnare il letto, spesso si vergogna, è frustato, può aver problemi di autostima, dorme poco o male, con ripercussioni anche sul rendimento scolastico”, spiega Di Mauro, presidente della SIPPS.
“Se educhiamo i bambini a bere durante il giorno aiutiamo le loro vesciche ad allargarsi, le alleniamo con una sorta di fisioterapia naturale con messaggi che dal sistema uriniario arrivano al cervello e aiutano a regolare i processi fisiologici della produzione di urina e minzione”, riprende Chiozza. “I bambini italiani, come molti altri, sono dei bimbi “all’asciutto” – conclude Chiozza – mentre sappiamo quanto sia importante bere, almeno 1,5 litri al dì, ma sarebbe importante rivedere anche alcune abitudini: la cena oggi per esempio si è trasformata in un momento sociale, con sovraccarico osmotico e di idratazione, che sarebbe meglio rivedere, contenendo per esempio, per i bimbi con enuresi, i consumi di sodio e calcio”.

Tags: , , , , , , , , , ,

Scrivi un commento